In Raffaele Gerardi spesso “l’embrione” funge da veicolo per una figura – talvolta – enigmatica, insistentemente archetipa, emblema di umanità – che si rivela improvvisa, come un caso, un bagliore, un accadimento imprevisto ed imprevedibile sulla superfice da lui agita.
Ma non fermata da un “graffio”, da una linea spezzata, quanto piuttosto “frenata”, raccolta dal percorso di una curva che al di là del “qui e ora” – dell’apparizione, appunto – continua, potrà allontanarsi, perdersi, ritornare. Mai raccontarsi del tutto.
Ombre, fugaci parvenze, fotogrammi di un infinito racconto, sono queste immagini: smontate, isolate, riassemblate, reinventate; prestiti rubati dalla forma che avviene o dai sedimenti della memoria. Minacciose, a volte, come possono esserlo i presagi o gli ammonimenti; esplosive, quasi sempre, come avviene – sempre – nell’audacia di qualsiasi inizio: sia narrazione o immagine, stato d’animo, coscienza o azione.
Laura Medici